Lasciare Dianra

La nostra Carla, dopo sei mesi, sta per salutare la missione di Dianra. Ecco cosa ci scrive.

 

Il mio permesso di soggiorno sta per scadere: ancora pochi giorni e dovrò rientrare in Italia.

Difficile spiegare come questa terra, queste persone e questa missione mi siano entrati nel cuore, ma qui da subito mi sono sentita a casa ed i giorni trascorsi non hanno un inizio ed una fine, ma solo il presente. Un presente fatto di semplicità, nessun grande progetto ma la condivisione della vita quotidiana con la fatica del lavoro e degli spostamenti difficili per la pista impraticabile, con la gioia delle nascite e la sofferenza delle perdite.

Domenica con Padre Matteo siamo andati a Sonozo in moto per celebrare la messa: un’ora di pista tremenda (la jeep ci aveva lasciato a piedi), ma che mi ha permesso di salutare la comunità che per prima a giugno mi aveva dato il benvenuto, il Fotamana.

Oggi (9 novembre, ndr) Padre Raphael è partito per un corso di formazione a Sago, nel sud della Costa d’Avorio, e così la fraternità che mi ha accolta, accettata ed accompagnata con affetto in questi mesi si è sciolta.

Quanti bei momenti: la recita delle lodi sul fare del giorno, ancora assonnati, e poi la messa. Il profumo del caffè, le chiacchiere della colazione. Poi gli impegni e la giornata scanditi dal ritmo della preghiera. I fine settimana, dal sabato fino alla domenica pomeriggio, nei villaggi per celebrare i sacramenti, conoscere i bimbi nuovi, visitare i malati e condividere alla luce delle pile cibo e alloggio. Infine il piacere di ritrovarsi la domenica sera stanchissimi attorno alla tavola, ma con la voglia del racconto, della condivisione.

Padre Raphael e Padre Matteo, i due giovani missionari di Dianra (hanno l’età dei miei figli), sono veramente splendidi: nonostante tutto il loro lavoro hanno detto sì al mio desiderio di fare un’esperienza lunga di missione.

Fatto nuovo per loro e per me, ma, passati i primi momenti di adattamento e conoscenza, giorno dopo giorno si è creato un piacevole clima familiare, direi di madre e figli, fatto di tante piccole attenzioni gli uni per gli altri.

Ed ora siamo arrivati al momento difficile della partenza. Ogni partenza è uno strappo, una ferita, un taglio netto. Io spero di lasciare qui il frutto del mio cammino personale, le tante piccole e grandi cose che pesavano sulle mie spalle, e di partire con le valigie ed il cuore pieni di quell’amore di Cristo che ho ricevuto centuplicato, in confronto a quello che io ho donato, da tutti i padri missionari, dalle mamme, dai papà e soprattutto dai tanti bimbi che felici ti sorridono e ti abbracciano forte forte forte. In questo abbraccio c’è tutto il valore del mio tempo in missione: accogliere e donare Amore, riflesso dell’Amore di Dio. La missione va vissuta ovunque viviamo, nella famiglia e nel lavoro, ma forse a volte per rendersene conto dobbiamo lasciare per un po’ le nostre comodità e le nostre certezze e tornare a guardare il tutto con occhi più semplici.

Ciao a tutti!

Carla.

Una valigia più leggera

In missione si arriva, si sta, ed infine si torna: ecco la terza lettera di Martina dall’Uganda.

 

Ci siamo. Le valigie sono chiuse. No, questa volta non mi ci sono dovuta sedere sopra per chiuderle, come capita al ritorno da quei nostri viaggi in cui il troppo shopping ci fa stare con l’ansia di non passare i controlli all’aeroporto perché la valigia pesa troppo. Questa volta è tutto diverso. Le valigie sono più leggere dell’andata, perché sono state svuotate di cose inutili, di tutte quelle cose che ho messo dentro prima di partire pensando che sarebbero state indispensabili.

Beh sai, stai andando dall’altra parte del mondo, ti ripeti prima di partire, e non sai bene cosa ti aspetterà, meglio portarti tutto quello che pensi potrebbe servirti, anzi di più, anche cose che forse non ti serviranno mai. Esatto…cose. Cose, cose, cose. Ma quante cose abbiamo e quanta fatica facciamo a staccarci dalle nostre cose? Più cose abbiamo e più ci sentiamo meglio. Forse a volte ci fanno sentire più al sicuro, ci illudiamo che con le nostre cose siamo un po’ meno soli. Siamo accumulatori seriali. Tu vali in base a quello che hai. È così che ci fanno credere delle volte.

Poi ad un tratto arrivi in un Paese in cui la gente non ha nulla, eppure ti rendi conto che vale tantissimo. Allora inizi a farti delle domande e a pensare che forse è ora di cambiare la tua unità di misura. Un Paese in cui la gente non possiede nulla se non quello che può donarti. Il Paese di chi ha vissuto 20 anni nella guerra, di ragazze ritornate dalla foresta senza nulla, se non con un bambino da crescere, senza soldi, senza un lavoro, senza una casa e peggio ancora senza nessuno disposto a tentare di ricostruire insieme pezzi di questa umanità ferita.

A 7 anni forse sarebbe più giusto tenere in mano una matita e un quaderno piuttosto che un kalashnikov, non credi?

Queste ragazze mi hanno insegnato a stare nella vita in modo diverso perché hanno compiuto il loro cammino più lungo, la strada che porta da “io ho” a “io posso”. Forse non avevano nulla, ma qualcuno ha creduto in loro pensando che potessero fare qualcosa di buono, diventare un giorno donne migliori. E ancora oggi, sapete, questa gente non ha granché. Eppure è capace di darti tutto.

La mia valigia è più leggera perché ho lasciato delle cose, ma penso che le cose che lasciamo siano solo il pezzo più superficiale di noi. Forse potrai anche diventare capace di superare la tua avarizia, diventare così buono e generoso da regalare alcune tue cose, ma il gioco si fa serio quando ti viene chiesto di lasciare te stesso. È questo che credo interessi alle persone che si incontrano in Missione. Ti chiedono di donarti, di lasciarti andare, di condividere la vita, i sorrisi, i pianti, la musica, un pezzo di pane, una fetta di torta, di condividere ciò che sei in qualunque modo tu sia, con qualunque stato d’animo tu ti possa presentare, ti chiedono di entrare in relazione. Certo, ci sono alcune tue cose che potranno anche essergli utili, ma è di te che hanno davvero bisogno, della tua persona, con i tuoi difetti e i tuoi schemi mentali un po’ rigidi. Va bene così, non ti preoccupare, l’importante è che tu ci sia. È questa relazione che porta vita nei volti delle persone che incontri in Missione. È Gesù che ha vissuto in me nell’incontro con la gente, è Gesù che ha accarezzato volti stanchi attraverso le mie mani, abbracciato corpi troppo fragili, fatto fare le giravolte ai bambini e tentato di cantare le canzoni con le ragazze, forse a volte stonando un po’. È Gesù la prima relazione da cui ho ricevuto vita e senza la quale non sarei stata capace di muovermi nemmeno di un passo.

Ma in fondo che cosa c’entra la vita di queste persone con te? Con te che vivi tranquillo la tua quotidianità a migliaia di km di distanza, con gli occhi fissi sulle tue cose, con le tue solite preoccupazioni e i tuoi sogni forse un po’ troppo piccoli, di cui provi ad accontentarti?

La Missione in fondo non è sempre facile, questo va detto. Ci sono momenti di sconforto in cui ti chiedi come cavolo ti è venuto in mente di venire fino a qua quando potevi startene comodo tra le tue mura di casa. Allora perché dovresti rinunciare a qualcosa e fare sacrifici per partire verso una terra lontana, per andare a incontrare persone con cui ti sembra di non avere nulla in comune?

Forse non ho una risposta valida, perlomeno non nella teoria. So solo che io l’ho fatto e che lo rifarei da capo altre mille volte. Rifarei le valigie anche subito se sapessi che è quello che il Signore vuole da me oggi. Sì, perché la Missione non è rinuncia, non è sacrificio, è solo allargare le braccia per accogliere quello che gli altri hanno da darti.

In Missione ho pianto due volte: il primo giorno e l’ultimo. La prima sera in camera da sola quando mi sono resa conto della follia che avevo fatto, pensando che non sarei mai sopravvissuta due mesi così. E poi gli ultimi istanti prima della partenza, quelli in cui inizi a realizzare la Bellezza ricevuta.

È vero che la Missione è sempre, non inizia e finisce con un viaggio ma è nei luoghi della quotidianità, ma è anche vero che per scoprirlo a volte bisogna partire, per poi tornare a vivere in modo nuovo. Quindi quello che vorrei dirti oggi è che se, leggendo queste righe, ti avesse anche solo sfiorato il pensiero che forse un’esperienza in terra di Missione potrebbe arricchire la tua vita in maniera straordinaria, aprire i tuoi orizzonti e farti sognare in grande, ti prego di chiedere a Dio il coraggio di partire e di donarti questa possibilità, perché questo porterebbe alla tua vita una ricchezza incredibile.

E se qualcuno si sta ancora chiedendo che fine abbiano fatto i tacchini, posso dirvi con grande soddisfazione che due giorni fa sono passata in una stradina con un tacchino da una parte e uno dall’altra. Ho chiuso gli occhi e qualcuno mi ha preso per mano e ho scoperto che insieme si va più lontano.

Un abbraccio, ancora per poche ore, dall’Uganda.

Martina

Gocce di vita dall’Uganda

Martina, dopo la prima lettera, ci scrive di nuovo della sua missione in Uganda.

 

È passato più di un mese da quando sono arrivata, ed è incredibile scoprire come siano cambiate le cose in così poco tempo.

“Voglio tornare a casa” è stato il mio primo pensiero quando sono arrivata qui. Oggi questo pensiero si è trasformato in “non voglio più tornare a casa” (tranquilli mamma e papà, ormai ho il biglietto dell’aereo, non posso farci niente).

Non è semplice spiegare a parole quello che si vive in terra di missione. Ogni volto incontrato, ogni mano sfiorata, ogni sguardo scambiato ha una risonanza in me e tocca parti profonde del mio cuore. Una mattina quando mi sono svegliata ho trovato il secchio del bagno, che di solito utilizzo per lavare i panni, quasi pieno e non capivo come fosse possibile visto che il rubinetto sotto cui l’avevo appoggiato era chiuso. Poi ho capito che quel rubinetto perdeva delle gocce d’acqua, e queste gocce molto lentamente avevano fatto sì che, nel silenzio della notte, il secchio si riempisse. A volte vediamo solo una goccia e crediamo che sia inutile, che non sarà mai abbastanza per creare qualcosa di grande e bello. Alcune gocce sono grandi e rumorose, ci si accorge quando cadono nel secchio. Altre invece sono silenziose e nascoste, bisogna chiedere a Dio la grazia di avere occhi capaci di vederle e gustarle per sentirsi davvero dissetati. Quelle gocce sono per me quello che sto vivendo qui giorno dopo giorno. Parole, volti, gesti, profumi, musiche, colori.

A volte queste gocce portano con sé gioia, gratitudine, spensieratezza, libertà, pace. I sorrisi dei bambini, le loro piccole manine nere appoggiate sulle mie, i canti e le danze delle ragazze della scuola. Sono gocce dai colori caldi che profumano di vita e di allegria. Altre volte invece sono gocce un po’ dolorose, che provocano un turbamento del cuore, come le parole che escono dalla bocca delle ex bambine soldato quando gli chiedo di raccontarmi che cosa è successo quando erano nella foresta. È così che queste ragazze, ormai diventate donne, mi aprono il loro cuore, consegnandomi forse la parte più intima e dolorosa della propria vita. In quell’ora, fatta di domande e risposte, di lacrime che rigano i loro volti dallo sguardo profondo, provo ad entrare nel loro mondo e in queste storie atroci. Storie che hanno lasciato un segno profondo nella loro anima e nel loro corpo, fatto di cicatrici che ancora oggi, quando si guardano allo specchio, gli ricordano quello che hanno vissuto. “Se oggi sono qui è solo grazie a Dio. Sì, mi sono spesso sentita in colpa per quello che ho fatto, ma non avevo alternativa, obbedire era l’unico modo per salvare la mia vita”, mi racconta Grace. Un dolore, il loro, che solo Dio ha potuto accogliere e consolare, quando nessuno intorno a loro era disposto a farlo, quando la paura che queste ragazze potessero tornare a uccidere sembrava prevalere sull’amore che i loro stessi genitori e tutta la loro comunità provavano per queste ragazze.

Queste parole, che escono come lame taglienti dalla loro bocca, sono una grazia che fa nascere in me un turbamento, quella sana inquietudine  che ti viene quando ti fai le domande essenziali della vita e che non ti fa dormire la notte. Sono estremamente grata per questa inquietudine, Dio mi salvi dall’indifferenza, sempre.

In questo tempo ho avuto l’occasione di vivere tante esperienze diverse, di uscire dalla scuola per visitare alcuni villaggi a poche ore di distanza da Gulu, dove le suore del Sacro Cuore di Gesù portano avanti giorno dopo giorno un’azione costante e silenziosa, per cercare di dare risposta ai bisogni che questo popolo presenta oggi, attraverso orfanotrofi, scuole e cliniche mediche.

La settimana scorsa l’ho trascorsa a Kampala, nella capitale, dove ci siamo recati per accompagnare un padre comboniano italiano che era caduto e che aveva bisogno di alcuni controlli. Sei ore di macchina per trovare l’ospedale attrezzato per ciò di cui aveva bisogno.

Siamo partiti pensando di rimanere fuori solo una notte, ma alla fine il tempo si è prolungato a causa delle sue condizioni di salute. Così ho trascorso sei giorni a Kampala con un cambio di vestiti e pochissime altre cose. Inizialmente questa cosa mi faceva arrabbiare, per me era solo una deviazione dal percorso, qualcosa che non mi riguardava e che mi allontanava dall’obiettivo per cui ero partita. Una perdita di tempo insomma. Poi piano piano, affidando questa fatica a Dio, ho iniziato a capire che in quel momento prendermi cura di questa persona e volergli bene significava amare Dio. Ho visto la fragilità nel corpo e nella mente di quest’uomo e Dio mi ha chiesto di amarLo prendendomi cura di questa fragilità. A volte pretendiamo di decidere noi qual è la cosa migliore per la nostra vita, pensiamo di avere il controllo totale su quello che facciamo, invece ho scoperto una buona notizia: mi posso rilassare perché per fortuna non sono io ad avere le redini della mia vita, sennò chissà a quest’ora dove sarei. Posso fidarmi di Dio, fidandomi delle persone che mi ha messo accanto, ovunque io sia, e posso vivere con libertà e gratitudine la vita che Lui decide di donarmi.

Ah, dimenticavo: il 2 ottobre alle 17 i tacchini hanno circondato la mia camera per vendicarsi. Evidentemente non hanno gradito quello che avevo detto su di loro.

Un abbraccio da Gulu, ed a presto.

Martina

Martina in Uganda

Martina in Uganda

Sao Luis: la testimonianza di Suor Lindalva

Suor Lindalva, delle suore della Redenzione di Sao Luis in Brasile, offre la sua testimonianza missionaria durante la Veglia di Preghiera che si è tenuta in Cattedrale a Senigallia sabato 20 ottobre, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale 2018.

 

 

Sulle Strade del Mondo 2018

A Mondolfo, domenica 7 ottobre, Riccardo, Gioele, Martina, Giada, Pietro, Luca e Jessica hanno condiviso la loro esperienza di missione in Brasile, India, Costa d’Avorio, Argentina e Cile.

Riviviamo le loro testimonianze nel video dell’incontro.

 

I primi giorni di Martina in Uganda

Martina Spadoni, di Passo Ripe e giovane membra del nostro CMD, condivide con noi i suoi primi giorni di missione in Uganda.

 

Cari amici,

vi scrivo da Gulu, una calda città del Nord Uganda, dove la vita sembra scorrere serena, sotto il cocente sole africano e il rumore dei boda bodas che circolano rapidi nelle strade della città, strade sempre affollate di persone, di vite e di volti che amano vivere la socialità fuori dalle proprie case, proprio nella strada che diventa luogo di incontro e di condivisione. 
Sono approdata qui circa due settimane fa, o meglio, sono atterrata ad Entebbe e dopo un lungo viaggio in macchina, sono finalmente arrivata alla “Saint Monica School”. 
La folle idea di trascorrere due mesi in questa scuola è nata dal desiderio di condurre una ricerca sulle ex bambine soldato, fenomeno che ha colpito in particolar modo il Nord Uganda nei suoi lunghi anni di guerra, terminata nel 2006, e che sarà oggetto della mia tesi di laurea.
È in questo scenario che, a partire dal 1987, ha preso vita il “Lord’s Resistance Army”, un gruppo ribelle di matrice cristiana, guidato da Joseph Kony, che ha lasciato dietro di sé la folle eredità di trentamila morti, centomila minori schiavizzati come baby soldato e oltre due milioni di profughi.

È in questo dramma che ha brillato l’azione di una piccola grande donna, Rosemary Nyirumbe, religiosa ugandese, inserita tra le 100 personalità più influenti nel mondo secondo “Time Magazine” nel 2014 e nominata eroe dell’anno da CNN nel 2007, che ha dedicato tutte le sue forze per sostenere le vittime delle violenze dell’Lra, in particolare le ragazze sequestrate, brutalizzate e fatte schiave sessuali dei miliziani, bambine innocenti e poi donne rese strumenti di morte nelle foreste dell’Africa. Queste ragazze hanno vissuto un dramma più grande della guerra, che è stato quello di un post guerra in cui si sono trovate di fronte ad una battaglia quotidiana con i propri sensi di colpa, in una società in cui nessuno sembrava essere disposto a prendersene cura, considerate ormai scarti da gettare via o potenziali assassine. 
Questo desiderio è nato dall’incontro con suor Rosemary lo scorso Ottobre al festival della Missione a Brescia ed è stato sostenuto poi dalla mia università, ma sicuramente guidato, lasciatemelo dire, dal filo rosso della Provvidenza, che ha messo sul mio cammino tutto ciò di cui avevo bisogno per avverare questo piccolo grande sogno nel cassetto e che mi ha donato la fede e il coraggio necessari per buttarmi in questa nuova avventura.

Bene, oggi posso dirvi che, nonostante le difficoltà iniziali che ho dovuto affrontare, la gratitudine per essere qui è tanta, e tutto ciò che sto vivendo sta allargando il mio cuore più di quanto potessi immaginare.

I primi giorni non sono stati affatto facili, sono necessari una buona dose di tempo e pazienza per imparare a vivere tra ragni, pipistrelli e topi, temporali notturni e docce fredde, immersi in un mondo e in una cultura completamente differenti, in cui nessuno parla la tua lingua e in cui non capisci bene come muoverti o che cosa fare. Questo luogo ora sta diventando per me sempre più famigliare e ogni giorno che passa mi accorgo di sentirmi sempre più al posto giusto. La prima settimana ho potuto gustare appieno l’accoglienza e il calore dei bambini dell’asilo, che, nel mio smarrimento iniziale, mi hanno fatta sentire da subito a casa. Non ho parole per descrivere la capacità che hanno avuto di volermi bene fin dal primo istante, dal primo sguardo, senza bisogno di nessuna spiegazione. Ho potuto sperimentare la bellezza della Messa domenicale, in cui canti, danze e abiti colorati mi hanno testimoniato un Dio della gioia che danza e fa festa con il suo popolo.
La seconda settimana ho iniziato a dedicarmi alle ricerche per la tesi e a frequentare le lezioni del corso di cucito con le ragazze della “Saint Monica Girls’ Tailoring School”, e il tempo è volato. Tra un pausa e l’altra ovviamente non può mancare un giro in altalena o un tiro a pallone con i bambini. Sto affrontando tante mie paure… tranne quella dei tacchini e delle galline, da loro giro ancora molto alla larga. 

Un affettuoso saluto da molto lontano… anche da parte degli amici tacchini!

A presto, Martina.

Per saperne di più su Suor Rosemary Nyirumbe

Una giornata in missione

Una “ordinaria” giornata di missione: potremmo forse definire così la giornata che dalla Costa d’Avorio condivide con noi Carla. Certo è che di ordinario per le nostre (comode) abitudini c’è ben poco.

 

La nostra giornata inizia con la sveglia alle 4:30: si va a Bouake, e ci aspettano 4 ore circa di strada, tra pista ed asfalto. Ma, ancora in piena notte, troviamo la strada sommersa dall’acqua (diluvia dalla sera prima) ed ostruita da un albero caduto. Con difficoltà ripartiamo, ma insieme al sole arriva un altro problema: rimaniamo impantanati in una piscina, e solo dopo un’ora i viaggiatori di un pulmino ci aiutano a riprendere il viaggio.

 

 

Arriviamo a Bouake con 1:30 circa di ritardo, carichiamo i medicinali e facciamo spesa. Dopo tutti gli acquisti nella Toyota non entra più nemmeno uno spillo.

 

 

Ripartiamo alle 19, quando è già notte fonda, andando piano perché il carico è tanto e prezioso. Lungo la strada soccorriamo un anziano caduto dalla bicicletta (incosciente e sanguinante), poi troviamo un mezzo per trasportarlo ad un centro sanitario (per fortuna non lontano).

C’è ancora tanta, troppa strada: decidiamo di dormire alla missione di Marandallah. Cena, messa e finalmente un letto, dove riposare prima di ripartire per Dianra.

Un saluto da Dianra

Carla Paccoia, nostra cara amica dell’equipe del Centro Missionario di Senigallia, ci invia un saluto all’arrivo a Dianra, in Costa d’Avorio, dove è tornata per trascorrere qualche mese nella missione di Padre Matteo Pettinari.

 

Carissimi e carissime tutti,

dopo ore di volo, km di jeep su strada e su pista di terra rossa, sotto un diluvio d’acqua, tuoni e fulmini (ma qui erano felici perché l’acqua mancava da novembre ed io che l’ho portata sono una benedizione!), sono finalmente arrivata e ritornata a Dianra, nel nord della Costa d’Avorio, nella missione affidata alla Consolata, dove vive il nostro Matteo Pettinari.

Con gioia ho rivisto persone e luoghi a me molto cari che mi sono entrati nel cuore fin dal primo giorno dell’ agosto di due anni fa. L’affetto ricevuto ed il sorriso dei bimbi hanno subito cancellato la fatica del viaggio.

Adesso mi sto inserendo nelle varie, quotidiane attività della missione con il mio francese scolastico che migliora lentamente e con la certezza di vedere ogni giorno, nella vita e nell’opera dei missionari, la costante tenerezza di Dio verso i nostri fratelli africani.

Sento il vostro sostegno e so di essere qui anche a nome vostro. Continuate ad accompagnare i miei passi con la vostra preghiera.

A presto, Carla.

Il viaggio di Jessica e Luca

Una giovane coppia della Diocesi di Senigallia racconta la propria esperienza missionaria vissuta con le Suore della Redenzione a Fortaleza e Sao Luis in Brasile.

Ciao a tutti siamo Jessica e Luca, una coppia di fidanzati di Mondolfo, Diocesi di Senigallia, che da sette anni vivono un cammino di fede bello e concreto. Cerchiamo nel nostro piccolo e nella nostra quotidianità di affidare il nostro rapporto al Signore e di confidare in Lui, accettando la Sua Volontà nella nostra vita con Amore e Fiducia. Abbiamo avuto la grazia di vivere lo scorso Dicembre 2017 un’esperienza Missionaria in Brasile. Luca già da anni coltivava nel cuore questo desiderio: andare a far visita alle persone che vivono in situazioni di difficoltà e di povertà. Mentre in Jessica ha sempre prevalso la paura e il timore di allontanarsi da casa, nonostante la curiosità e la voglia di “mettersi in gioco” spogliandosi delle proprie certezze.

Un giorno, parlando con una Signora del nostro paese (Marta), che a sua volta aveva vissuto delle esperienze missionarie a Cuba e in Perù, ci ha informato che presto la Diocesi avrebbe organizzato degli incontri di formazione per prepararsi sul valore della Missione, incontri finalizzati poi a vivere un’esperienza concreta. Alcuni mesi dopo il Diacono della nostra Parrocchia, ora Vice Parroco del Duomo di Senigallia, Don Andrea Falcinelli, ci ha messo al corrente che sarebbero iniziati questi incontri di formazione con cadenza mensile. Questi incontri sono stati tenuti da Don Andrea stesso e altre persone (tra cui Francesca Angeletti, responsabile del progetto Coloriamo La Vita) che a loro volta hanno vissuto un’esperienza così bella e forte. A partecipare sette ragazzi tra cui noi.
Gli incontri erano organizzati in questo modo: si partiva da un brano del Vangelo, a seguire catechesi e momento di condivisione. I temi trattati parlavano di un Gesù sempre in cammino, che incontra, che viene e che va.
Missione è un’esperienza di deserto, di essenzialità. Ti mette a nudo, ti conduce a ciò che sei e ti permette di incontrare Dio nell’altro e Dio in te stesso, nelle tue paure e fragilità.
LA MISSIONE NON E’ UN UN’ESPERIENZA DI SERVIZIO, DI VOLONTARIATO, DI CAMPO DI LAVORO MA E’ UN MODO DI VIVERE, DI ESSERE NEL MONDO.

Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro; aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore… Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza, soprattutto con Amore, ridà coraggio e gusto per il cammino…
Dopo i primi incontri, bellissimi e di vera scoperta verso questa nuova realtà, ci sono state proposte le diverse mete:
Dianra, Costa d’Avorio (dove lo stesso Don Andrea ha vissuto un’esperienza Missionaria), Perù, con il progetto Mato Grosso, Brasile (Fortaleza, Sao Luis). E’ nata in noi, sin da subito, la curiosità e l’interesse verso quest’ultima meta.
Più gli incontri andavano avanti, più le paure e i timori hanno lasciato spazio alla gioia e alla voglia di partire, di aprire il nostro cuore al prossimo, di dare la nostra fiducia più totale al Signore, di credere in Lui e lasciarci trasportare.

La Nostra esperienza Missionaria è iniziata il 4 dicembre, dove siamo arrivati a Fortaleza (città della regione Nordest del Brasile, capitale dello Stato del Ceará), dopodiché, con un volo interno, il 12 dicembre ci siamo spostati a Sao Luis, nello Stato del Maranhao. In Brasile siamo stati accolti dalle Suore della Redenzione. Le suore si dedicano al recupero spirituale e umano delle ex prostitute, all’assistenza a detenuti ed ex detenuti, tossicodipendenti e madri nubili e ad altre opere di prevenzione e promozione umana. Oltre che in Italia, sono attive in Brasile, India e Perù.
Alla fine del 2008 la congregazione contava 155 religiose in 28 case.

La prima cosa che colpisce è sicuramente il calore e l’Amore con cui siamo stati accolti: ci siamo sin da subito sentiti come a casa. Ci hanno fatto sentire parte della loro famiglia. A Fortaleza ricordiamo in particolare Suor Gabriella, con cui sin dall’Italia, prima di partire, abbiamo preso contatto. Ci hanno coinvolto in tutte le loro attività: dalla visita alle carceri, ai corsi organizzati per i ragazzi. Corsi di ballo, di chitarra, di canto, di cucito… dove veramente cercano con la loro semplicità e il loro grande impegno di donare a queste persone un’alternativa alla violenza; di aiutare le ragazze a costruirsi un futuro professionale. Ciò che fanno, la dedizione che hanno verso il prossimo riempie il cuore di una profonda gioia, ci fa riflettere sul nostro modo di agire. Ci hanno coinvolto in tutto, ci hanno fatto sentire parte integrante della loro famiglia e di questo gliene saremo sempre grati.

È sicuramente difficile vedere e accettare la povertà e le condizioni in cui queste popolazioni vivono; cose che per noi sono scontate, banali a cui non diamo importanza per loro sarebbero un Tesoro immenso! Ecco… uno dei sentimenti più grandi che abbiamo portato in Italia è questa sensazione di gratitudine, di Ringraziamento anche per le piccole cose che abbiamo. Nulla è scontato, tutto è Dono del Signore.

A Sao Luis, dove appunto ci siamo trasferiti martedì 12, ad attenderci cinque Suore. Tre di loro vivono nella casa in cui anche noi siamo stati accolti mentre altre due nella Casa di Formazione che dista solamente pochi metri. È proprio qui che è nato il PROGETTO COLORIAMO LA VITA (Promovendo a Vida). Anche qui un’accoglienza grandiosa. Portiamo nel nostro cuore le attività svolte insieme, i momenti dei pasti, le ore di comunità e di conoscenza, l’entusiasmo e l’interesse che hanno mostrato verso le nostre persone e i nostri vissuti. Quanto Amore abbiamo ricevuto!

Abbiamo vissuto con loro momenti intensi come la visita alle Carceri, in cui puoi incontrare persone sole, abbandonate e così dispiaciute ma anche così desiderose di riscattarsi, di riprendere in mano la loro vita. Quando le Suore entrano in questi atri dove i detenuti trascorrono i loro momenti di “pausa, svago” portano veramente un profumo di Misericordia, una Gioia del Perdono, portano a loro l’Amore del Signore; fanno loro capire che non sono soli, ma il Signore è li. E tutto questo si percepisce dallo sguardo dei detenuti mentre ascoltano le Suore parlare. Le Suore a Sao Luis organizzano anch’esse corsi di cucito e ricamo per le Ragazze e le Signore e corsi di pittura per i più piccoli, il cui ricavato aiuta loro a portare avanti le loro attività. Hanno veramente dei grandi doni, nelle loro mani sono racchiusi dei grandi Tesori… hanno una grande delicatezza e mettono tanta passione in tutto ciò che fanno.
Le abbiamo accompagnate a far visita alle comunità, abbiamo condiviso con le popolazioni celebrazioni eucaristiche… che belli i momenti di canto, insieme a Lodare e Ringraziare. Un’unica voce verso un unico Padre.

A distanza di qualche mese, ripensando a questi momenti veniamo colpiti da grande nostalgia e altrettanta voglia di riorganizzare la prossima partenza. Desideriamo tornare soprattutto in qualità di famiglia Cristiana, per portare nella nostra Piccola Chiesa Domestica questa immensa gioia. Ciò che il Signore aspetta è il nostro SI.
Seguitemi, vi conduco io, in questo viaggio (La Vita) che vi porta un po’ più lontano… Tutto ciò per scoprire un tesoro più grande, per riscoprire la fede. Grazie al Signore che ci ha permesso di vivere questa bellissima esperienza, grazie alle Suore che ci hanno accolto e per l’Amore che ci hanno donato, alle popolazioni che ci hanno manifestato la loro felicità nell’averci conosciuto, grazie a Francesca che ci ha seguito e aiutato nel realizzare questo nostro desiderio.
“Dona, perché hai tutto ciò che serve al prossimo… Ama, perché l’Amore è l’unica cosa che ti riempirà la vita”
Madre Teresa di Calcutta

Alla prossima esperienza!

Jessica e Luca

Da www.coloriamolavita.com

Un pezzetto di Dianra qui con noi

Dal 25 Febbraio al 15 Aprile abbiamo avuto la fortuna di avere nostro ospite Patrice Kouman Kouadio, dal villaggio di Dianra in Costa d’Avorio, parrocchiano di padre Matteo Pettinari nonché catechista e membro attivo nella realtà locale. E’ venuto in Italia per via di un occhio gravemente malato e lo scorso 6 marzo è stato operato nell’ospedale di Torrette di Ancona. Tutto è andato bene.

Ospite in casa Pettinari, dai genitori e zii di p. Matteo, in questo breve periodo di tempo qui ha avuto modo di assaporare e conoscere un po’ di quell’Italia di cui prima aveva solo sentito parlare.

Patrice, 54 anni, sposato, con sei figli, è un uomo davvero in gamba: lavora nell’ Ivoire Coton (fabbrica del cotone di Dianra), si è sempre impegnato in parrocchia, come catechista e membro di una comunità di base, ma non solo. L’abbiamo conosciuto e incontrato in questi giorni tra Chiaravalle, Monte San Vito e Senigallia, nelle parrocchie dove è stato invitato e nelle case di chi lo ha accolto anche solo per due parole o un pasto insieme. Averlo tra noi è stata una splendida occasione per conoscere più da vicino la realtà di Dianra e anche per conoscere meglio noi stessi, guardandoci attraverso lo sguardo limpido di Patrice. -Siamo come il giorno e la notte- ha detto più volte, riguardo a quanto siano diverse le nostre case, le nostre abitudini, le nostre vite… Ma l’Italia -c’est très jolie!- Ai suoi occhi tanto, di ciò che abbiamo, è bello: il paesaggio naturale, il cibo, l’asfalto che ci fa raggiungere facilmente le persone, la varietà di piante e fiori, l’accoglienza che ci caratterizza.

Mentre camminiamo insieme tra le vie del centro storico di Senigallia, noto che la Rocca Roveresca, il foro Annonario, le varie piazze e fontane non l’hanno conquistato. Osserva però con attenzione le vetrine di tanti negozi e nel suo volto leggo insieme stupore e disagio. Gli chiedo allora: -Patrice, cosa pensi?

-Tutto questo è opera dell’uomo. Il mare, invece, è opera di Dio: è per questo che è più bello.-

Ci dirigiamo poi verso il Duomo e lì entriamo. Questo luogo sì, gli è piaciuto molto: -Ogni chiesa è bella!- e lo dice a me che invece tante volte trovo certe chiese più buie e brutte di altre e lì mi fermo col mio giudizio, come se una bella preghiera dipendesse da una bella chiesa. Certo, il luogo e l’arte aiutano in questo, ma oggi Patrice m’insegna che ciò che conta è solo l’animo.

Grazie Patrice di aver camminato un po’ con noi, ci hai ricordato quanto le nostre vite siano ricche di possibilità e ricchezze, ci hai portato il tuo esempio di semplicità e umiltà e ci hai dato modo di vedere la realtà con un paio d’occhiali un peu different.

Chi l’avrebbe mai detto: un ivoriano con problemi di vista che ci mostra come VEDERE le cose! 😉

A presto, à bientôt!

Giorgia, Donatella e Carla del CMD di Senigallia